Non sono una persona religiosa, ma credo che la gratitudine sia uno dei più potenti strumenti nelle nostre mani. Sono giunta a questa conclusione solo dopo anni di rifiuto della mia condizione, dopo anni di "Perché a me? Cosa ho fatto per meritarmelo?".

Penso che queste parole siano una costante nella vita di noi emicranici e cefalalgici, e, di certo, non posso affermare che queste domande non mi passino mai per la mente. Penso sia naturale che, dopo tanti giorni, mesi e anni di dolore, queste domande sorgano spontanee.

Tuttavia, questi pensieri mi sfiorano solamente, perché nella mia vita qualcosa è cambiato. Non nella mia vita esteriore, ma in quella interiore.

Non sono una persona religiosa, come dicevo, ma sicuramente sono una persona spirituale. Non nel senso di "proprio della sfera religiosa, mistica e ascetica", ma nel suo significato di "proprio dello spirito, inteso come complesso e centro della vita psichica, intellettuale e affettiva".

A diciott'anni, quando iniziarono le mie crisi di emicrania giornaliere, non avevo la maturità intellettuale (e nemmeno il supporto psicologico) per capire che avrei potuto evitare la cronicizzazione del dolore se solo fossi stata più attenta alla mia salute, se mi fossi presa cura di me stessa. La mia giovane età, però, mi portò a essere totalmente "scollegata" dal mio corpo: la mia testa pensava di poter provvedere a tutto portando il mio corpo al limite della sopportazione. E pensavo non ci sarebbero state conseguenze, come non ce ne furono per gli altri ragazzi della mia età, ma non fu così. A peggiorare la situazione si aggiunsero alcuni eventi traumatici che una ragazza di vent'anni non avrebbe dovuto vivere. È stato proprio dal fondo, però, che ho preso la forza per rialzarmi.

Con l'accettazione della mia condizione come cronica (almeno finché non si troverà una cura), è arrivata anche una maggiore consapevolezza del mio corpo. Pratiche di rilassamento e "meditazione in movimento" mi hanno molto aiutata, ma la mia ricerca di me stessa non era ancora finita. Con un aiuto psicologico, ho imparato a stare "in compagnia di me stessa", con tutti i miei pensieri, belli o brutti che fossero e i pensieri brutti piano piano se ne sono andati. Tornano solo qualche volta per ricordarmi del passato, che è una parte di me che non voglio dimenticare.

Così, col tempo ho imparato ad accettare la mia realtà, una realtà diversa da quella di una normale ragazza di ventitré anni, una realtà che non avrei voluto vivere, ma una realtà per cui ora sono grata. Prima mi sentivo soffocare, non avevo deciso io di avere questa malattia, ma ora so che posso plasmare la mia realtà grazie agli strumenti che ho acquisito nel corso di questi anni. Il più potente, sicuramente, è la gratitudine.

Apprezzando ogni piccola cosa nella mia vita, mi sono resa conto di essere molto fortunata. Partendo dall'essere grata per cose semplici come il mio piatto preferito preparatomi a sorpresa da mia madre, un abbraccio dei miei fratelli, le fusa dei miei gatti, ho scoperto per la prima volta la vera bellezza della vita. Tornando come a uno stato infantile di stupore, ho imparato a trovare la bellezza intrinseca in tutte le cose e, con questa, la voglia di vivere, di continuare a lottare perché, anche se si sono perse le speranze, bisogna ricordarsi che domani può essere migliore di oggi.

Anche se oggi pensi di non potercela fare più, se vuoi mollare tutto, resisti ancora un altro giorno, solo uno, e presto vedrai uno spiraglio di luce, com'è accaduto a me.