“Dottore, ho mal di testa!” quante volte da neurologi, durante i nostri ambulatori, abbiamo sentito i nostri pazienti pronunciare questa frase?
Innumerevoli, eppure “…è solo un mal di testa, chi non lo ha mai avuto nella vita? Cosa sarà mai? Si metta a riposare, vedrà che passerà!
Al massimo si prenda una tachipirina!”
Ecco, pure io la pensavo un po’ così, fino a quel giorno. Il giornoin cui capii che mi sbagliavo!
Spesso l’atteggiamento del curante, che non ha una grande esperienza sulla materia è portato a sottovalutare il sintomo o comunque a trattarlo come collaterale, soprattutto quando si manifesta in pazienti con altre problematiche.
Nella mia formazione da specializzanda in Neurologia ho avuto la fortuna di frequentare un Ospedale dove è presente un Centro Cefalee, ma occupandomi prevalentemente d’altro, non avevo mai potuto comprendere a pieno cosa si nascondesse dietro questa doglianza da parte del paziente.
Poi si è realizzata l’esperienza che mi ha davvero permesso di approfondire l’argomento presso l’IRCCS Fondazione Mondino di Pavia.
È iniziato per caso, una serie di incontri fortuiti mi hanno condotta presso questo istituto lo scorso mese di novembre. Avevo presentato la domanda per partecipare ad un’attività formativa pubblicizzata dal sito internet Medscape: “Advances in the Management of Migraine: Translating Clinical Evidence Into Practice at the Headache Science & Neurorehabilitation Center, Research Institute C. Mondino Foundation” e sono stata selezionata per questa importante esperienza formativa.
Fino a quel giorno la mia formazione come specializzanda di Neurologia era stata rivolta prevalentemente alle Malattie Rare e la cefalea era spesso un sintomo di contorno di altri quadri clinici o un problema minore da rimandare agli esperti del settore.
Per tre giorni sono stata ospitata, insieme ad altri colleghi, presso la Fondazione Mondino, uno dei principali Centri di referenza per la Cura e la Diagnosi delle Cefalee in Italia, guidato dalla Professoressa Tassorelli.
La professionalità, la dedizione e la grande ricerca scientifica svolta dai professionisti che ci lavorano fanno di questo Ospedale un polo d’eccellenza dove il paziente cefalalgico viene preso in cura, la terapia è cucita sartorialmente sulle esigenze dell’individuo, che viene messo al centro di un progetto di presa in carico multidisciplinare.
Perché lo sappiamo, i pazienti non sono tutti uguali, sono in primis persone, fatte del loro vissuto, delle strade che hanno incrociato, degli incontri e degli scontri che li hanno portanti ad essere ciò che sono, quello che noi vediamo, dall’altro lato della scrivania è solo la foto del momento presente.
Non solo terapie quindi, protocolli e linee guida, ma anche ascolto, attenzione e supporto compongono il giusto mix che ogni paziente dovrebbe ricevere nel suo percorso di diagnosi e cura. Questo a Pavia non manca di certo.
Nonostante esistano ottimi Centri Cefalee altrettanto validi, Pavia ha un punto di forza, la possibilità di poter ricoverare i pazienti.
Sappiamo ormai da anni che esistono delle Cefalee causate da un abuso di farmaci, sto parlando delle “Medication Overuse Headache”, una cefalea in cui il paziente entra in un circolo vizioso dove per far passare la sintomatologia assume la terapia, che sarà poi la causa del perpetuarsi del mal di testa. Fermare questo sistema, alle volte sembra impossibile, in quanto l’unico modo è smettere di assumere le terapie che causano la problematica. Il paziente si ritrova spaventato e spesso non è in grado di riuscirci al domicilio. La forza di volontà è un grande aiuto, ma spesso non basta. Al Mondino i pazienti che vengono ritenuti idonei possono essere ricoverati per brevi periodi e, grazie anche al sostegno degli psicologi e di terapie di supporto, possono riuscire in maniera più semplice a spezzare questo circolo di dipendenza.
Durante questi giorni sono state mostrate le innovazioni terapeutiche, gli studi presentati in Korea lo scorso settembre, dove si è tenuto il 21° congresso della Società Internazionale delle Cefalee. Grazie alla ricerca scientifica, oggi abbiamo diverse strategie terapeutiche che ci permettono di non gettare la spugna quando la prima linea di trattamento non dà i risultati sperati. Abbiamo avuto modo di sperimentare anche tecniche pratiche come: il blocco del Nervo Grande Occipitale e la somministrazione della Tossina Botulinica. Abbiamo avuto la possibilità di parlare con i pazienti e di confrontarci con colleghi provenienti da tutta Italia, discutendo insieme i nostri casi clinici.
Una cosa che mi ha favorevolmente impressionata è che in mezzo a tante novità offerte dalla più recente tecnologia biomedica, vi sia lo spazio per fare ricerca di altissimo livello pure su metodiche che nulla hanno a che vedere con la sola terapia farmacologica. Ad esempio, tra le nuove prospettive terapeutiche di supporto per il paziente con cefalea e dal favorevole risvolto clinico, molta ricerca si sta facendo sulle tecniche di rilassamento, come ad esempio la Mindfulness. Si tratta di una tecnica di meditazione, moderna e “laica”, ma sviluppata a partire dalla rivisitazione di alcuni precetti del buddismo, volta a portare l’attenzione del soggetto in maniera non giudicante verso il momento presente, al fine di scaricarlo di ogni tensione. Ritornare al presente ci consente di non rafforzare pattern di schemi mentali che possono in qualche modo aumentare la nostra percezione del dolore o del discomfort che alcune situazioni della vita quotidiana ci causano.
A Pavia, dove questa pratica è parte integrante del percorso di alcuni pazienti, ci è stata spiegata con la teoria delle frecce del Buddha.
Per il Buddha, chi viene a contatto con una sensazione spiacevole come reazione si preoccupa, si agita, piange, grida, si batte sul petto, perde il senso della realtà. Quindi egli fa esperienza di due dolori: quello fisico e quello mentale. La prima freccia rappresenta il dolore che inevitabilmente sperimentiamo. Ciò che avviene nel corpo. La seconda
freccia, invece, rappresenta la nostra reazione alla prima, cioè alle sensazioni dolorose che proviamo nel corpo. Riuscire a comprendere che le due frecce sono distinte l’una dall’altra, e possiamo farlo attraverso la pratica della Mindfulness, ci sarà di grande aiuto. Se la prima freccia è inevitabile, possiamo però modificare le nostre risposte al dolore, scegliendo così di non farci colpire anche dalla seconda freccia e quindi di non aggiungere dolore supplementare a quello che già proviamo. Per imparare a distinguere le due frecce è necessario sviluppare la concentrazione attraverso la pratica. Questo ci consente di acquisire la precisione mentale di cui necessitiamo per distinguere le sensazioni dolorose e notare che le nostre reazioni incontrollate ad esse sono in realtà distinte dal dolore in sé. Non possiamo agire sul dolore, ma possiamo farlo sulla percezione che abbiamo di esso, ecco quindi uno strumento in più, senza effetti collaterali.
Oggi sono tornata, nell’ambulatorio che frequento, continuo a vedere i pazienti con Malattie Rare, ma, grazie a questa esperienza, ho capito che il mal di testa nasconde un mondo vasto e da scoprire, dove quel sintomo altro non è che la punta di un iceberg, dove solo l’attenzione e l’ascolto del paziente possono permetterci di comprendere le esigenze e provare insieme ad averne cura, rigorosamente nel momento presente. Forse non seguirò mai in maniera prevalente pazienti con cefalea, ma di certo quest’esperienza mi ha arricchito molto nel mio percorso professionale di Neurologa e medico.

 

 

Dott.ssa Valeria Gioiosa
Sapienza Università di Roma
Polo Pontino, Latina