L’emicrania è una malattia decisamente sui generis: tende ad avere un andamento intrafamiliare transgenerazionale (cioè, come le malattie a trasmissione genetica ricorre in più persone di diverse generazioni nella stessa famiglia), colpisce prevalentemente le persone negli anni della vita riproduttiva, ha un quadro clinico imprevedibile e non obiettivabile, caratterizzato da una grave disabilità e un forte dolore (le due cose non sempre coincidono) che potrebbe anche ridurre la probabilità di avere rapporti sessuali, quindi di procreare.
Lo studio delle malattie genetiche ci insegna che disturbi di questo tipo dovrebbero essere autolimitanti: nessuno tenderebbe a fare figli con un partner spesso indisponibile, su cui non poter fare totalmente affidamento; quindi, il tratto genetico dell’emicrania dovrebbe essere svantaggiato nella competizione darwiniana e pertanto essere poco diffuso. Ma non è così. È il paradosso dell’emicrania: ha una grande prevalenza, contraddicendo ogni nostra presunta certezza scientifica.
Come mai?
Essere persone predisposte a soffrire di emicrania, evidentemente, deve (o doveva) avere altri vantaggi, che forse abbiamo perso nel mondo moderno, magari legati proprio al funzionamento del nostro cervello. In effetti, il cervello umano ha alcune caratteristiche specifiche che distinguono la nostra specie dalle altre (e l’emicrania è un disturbo presente solo nel genere umano). In particolare, il cervello pesa circa il 2% del nostro corpo, ma per il proprio fabbisogno energetico consuma circa il 20% dell’ossigeno del nostro sangue; quindi, è un organo molto energivoro e tale voracità va soddisfatta, pena gravi danni neuronali, come quelli che si osservano in condizioni di ipossia transitoria (basti pensare ai danni neurologici permanenti associati alla sindrome delle apnee ostruttive). La frustrazione dell’elevata richiesta energetica da parte del cervello è legata notoriamente alla patogenesi della crisi di emicrania. Infatti, il cervello dei soggetti con emicrania si trova frequentemente in deficit energetico, o per una ridotta disponibilità dei substrati (il carburante) da parte dell’organismo o per un suo maggior consumo per inefficienza energetica/maggiori performances (come accade alle auto la cui carburazione non è ben regolata o a quelle particolarmente prestanti e sportive). Insomma, il cervello di questi pazienti si trova più facilmente di altri senza energie; dovrebbe esserne pertanto danneggiato, ma invece della morte neuronale arriva la crisi emicranica.
Quindi, il dolore emicranico potrebbe essere il prezzo da pagare per non subire danni: tutto rallenta e si blocca (quindi il cervello consuma meno energia e il suo fabbisogno è soddisfatto da quella disponibile) durante l’attacco, al termine del quale tutto riparte (molti pazienti riferiscono proprio che al termine della crisi recuperano un immediato benessere, come se non l’avessero mai avuta).
In altre parole, il dolore sembrerebbe proteggere il cervello da conseguenze ben peggiori. Quindi, sarebbe una sorta di antifurto o di spia che si accende sul cruscotto per avvisarci di un’anomalia e consentirci di fermarci tempestivamente senza subire danni ben peggiori. Ma se l’emicrania fosse un optional che ci avvisa di un’anomalia e ci obbliga a fermarci, la malattia di fondo quale sarebbe? Probabilmente proprio la predisposizione al deficit energetico che, approfondendosi troppo, lascia il cervello a secco di carburante. Forse, proprio quest’optional in passato ha salvato i nostri antenati, spingendoli all’adozione di atteggiamenti più conservativi, per scongiurar il rischio della crisi.
Così facendo, gli emicranici hanno potuto prosperare nel loro poco accogliente habitat naturale, recentemente cambiato di pari passo con il progresso. Ma esiste una seconda possibilità, anch’essa legata al cambiamento di stile di vita. È possibile, infatti, che in passato il rapporto tra energia disponibile per il cervello e richiesta energetica dell’organismo fosse più favorevole. I motivi potrebbero essere i seguenti. Da un lato, in passato si viveva in maniera più semplice, con ritmi meno serrati ed esposti a minori stress (immaginate solo come l’introduzione dei telefoni cellulari negli ultimi 30 anni abbia cambiato le nostre vite, rendendoci iperconnessi e superattivi in ogni momento), mentre oggi invece la società incentiva una sorta di viraggio ipomaniacale negli individui con la richiesta di fare sempre di più e meglio rispetto al passato. Dall’altro lato, abbiamo modificato drasticamente il nostro rapporto con le calorie: in passato ci si muoveva tanto, ma si mangiava poco e raramente. Oggi siamo diventati tutti sedentari e abbiamo accesso illimitato alle calorie, spesso provenienti dal cosiddetto cibo spazzatura, che è in grado di modificare il funzionamento del nostro cervello, paradossalmente agevolando proprio l’instaurarsi del deficit energetico alla base dell’emicrania, perché tutte le calorie disponibili, anziché essere a disposizione del fabbisogno energetico tenderanno preferenzialmente a creare tessuto adiposo. Quindi più calorie si introducono dal cibo spazzatura, meno se ne avranno a disposizione per far funzionare correttamente il cervello. A riprova di ciò c’è il fatto che adottare una dieta controllata, basata su “cibo sano”, ha sempre mostrato di portare benefici sulla cefalea in numerosi studi. Ma c’è dell’altro, la sedentarietà associata al cambio di dieta agevola lo squilibrio nel rapporto tra massa magra (che cala) e massa grassa (che cresce), anch’esso in grado di ridurre ancora di più il nostro dispendio calorico a riposo, diminuendo il metabolismo basale e agevolando la creazione di tessuto adiposo, sottraendo ancor più calorie alla soddisfazione del fabbisogno energetico. Ciò innesca pure un circolo vizioso in grado d’indurre una serie di modifiche ormonali e neurotrasmettitoriali agevolanti lo scatenarsi degli attacchi emicranici.
Questa ipotesi è suffragata da numerosi indizi. Per iniziare, nei soggetti sovrappeso/obesi, maggiore è il peso, peggiore sarà l’emicrania; poi, l’attività fisica regolare (in grado di modificare il metabolismo da una modalità lipogenetica ad una lipolitica, incrementando la disponibilità di energia utilizzabile) sembrerebbe avere un effetto protettivo sul mal di testa, malgrado lo sforzo fisico sia un noto trigger per l’emicrania che dovrebbe quindi avere un effetto negativo; come già detto, inoltre, ridurre il cibo spazzatura ha un effetto protettivo sul mal di testa; infine, più nei paesi in via di sviluppo si adottano stili di vita occidentali, più sembra aumentare la prevalenza dell’emicrania.
Come detto, ci sono molteplici neurotrasmettitori e ormoni coinvolti in questo processo, ma sicuramente la parte principale sembrerebbe averla un ormone: l’insulina che, oltre ad abbassare la glicemia, svolge numerose funzioni nel nostro cervello, tra cui quelle neurotrasmettitoriali (di tipo algogeno e infiammatorio). Numerosi studi hanno mostrato che i soggetti emicranici sono predisposti ad avere un tratto biologico chiamato insulino-resistenza. In sostanza, l’organismo risponde poco allo stimolo di questo ormone, che dovrà quindi esser prodotto in maggior quantità dal pancreas per tenere a bada la glicemia, il cui controllo risulterà alterato, con numerosi episodi di ipoglicemia in età giovanile (per l’eccessiva produzione insulinica) e di iperglicemia in età avanzata (prodromici del diabete di tipo 2, che appunto è detto “insulino-resistente”). Tanto l’insulina alta che la glicemia bassa, tipici dell’età giovanile, sarebbero noti fattori di scatenamento delle crisi emicraniche. Anche l’insulino-resistenza è un paradosso della genetica: un tratto ereditario diffusissimo nella popolazione, ma foriero di numerosi disturbi, anche gravi (obesità, diabete, ipertensione, policistosi ovarica, endometriosi, emicrania, demenza). Pure per questa condizione si è ipotizzato che in passato, quando ci si muoveva tanto ma si mangiava poco e raramente, avesse una funzione protettiva, consentendo di assimilare meglio tutte le calorie ingerite e potendone disporre all’occorrenza. Come per l’emicrania, insomma, l’insulino-resistenza sarebbe vittima del cambio di stile di vita, avendo la sedentarietà e il cibo spazzatura reso svantaggioso un tratto genetico precedentemente protettivo.
Può sembrare un concetto difficile da capire, ma vi faccio un esempio più intuitivo.
Le persone con la pelle molto chiara che vivono alle latitudini più settentrionali della terra sono il frutto di una forte spinta evolutiva; il tratto genetico della pelle chiara si è selezionato rendendo più agevole la sopravvivenza in zone con meno esposizione solare (fondamentale per produrre la vitamina D). Quindi, se immaginiamo un soggetto con la pelle molto chiara, magari biondo e con gli occhi azzurri, potremmo definirlo come il top dell’evoluzione umana per vivere ad esempio in Scandinavia; ma se questa persona andasse a vivere all’equatore, sarebbe notevolmente svantaggiata, perché esposta a numerose patologie, anche mortali, conseguenti alla sua incapacità di sopportare il maggior irraggiamento solare, dal quale dovrà proteggersi con numerosi accorgimenti, limitanti il proprio stile di vita. Quindi, lo stesso profilo genetico sarà protettivo o nocivo a seconda dell’ambiente e dello stile di vita: vale per la carnagione, vale per l’insulino-resistenza, vale pure per l’emicrania. Prendersi cura del proprio mal di testa, pertanto, non potrà limitarsi al solo assumere farmaci, ma dovrà necessariamente tener conto di una profonda analisi e osservazione, indagando sulla propria predisposizione biologica e sullo stile di vita, al fine di ripristinare un corretto metabolismo neuronale.
Se piove, apriamo un ombrello per proteggerci, ma poi cerchiamo di tornare a casa, dove siamo al sicuro. I farmaci sono l’ombrello, il cambio di stile di vita il viaggio verso casa, il posto in cui siamo noi stessi senza correre alcun pericolo.

Dott. Cherubino Di Lorenzo
Direttore Scientifico Cefalee Today