L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel mese di marzo 2020, ha dichiarato pandemia la patologia da nuovo coronavirus (SARS-CoV-2), che al 17 settembre 2020, in base ai dati pubblicati dall’European centre for disease prevention and control (Ecdc), consta di: 29.902.487 casi confermati di infezione nel mondo, 941.291 decessi nel mondo e 2.715.732 casi confermati in Europa. Questi numeri sono probabilmente sottostimati rispetto alla reale diffusione del virus.
Il coronavirus (SARS-CoV-2) è definito nuovo, vale a dire mai identificato prima nell’uomo, rispetto ai sei tipi già conosciuti, di cui due di origine zoonotica (Middle East Respiratory Syndrome – MERS e Severe Acute Respiratory Syndrome - Sars). Il Gruppo di Studio sul Coronavirus (CSG) del Comitato internazionale per la tassonomia dei virus (International Committee on Taxonomy of Viruses) ha classificato ufficialmente con il nome di SARS-CoV-2 il virus provvisoriamente chiamato dalle autorità sanitarie internazionali 2019-nCoV e responsabile dei casi di COVID-19 (Corona Virus Disease).
I coronavirus sono virus RNA a filamento positivo, identificati a metà degli anni ’60, in grado di infettare sia l’uomo che alcuni animali e le cui cellule bersaglio primarie sono quelle epiteliali del tratto respiratorio e gastrointestinale.
I coronavirus penetrano nelle cellule umane attraverso il legame di una glicoproteina S di superficie con il recettore ACE2 (Angiotensin Converting Enzyme 2, Enzima di Conversione dell’Angiotensina 2), enzima che regola la vasocostrizione delle arterie e che si trova sulle cellule dell’epitelio polmonare dove protegge il polmone dai danni causati dalle infezioni, infiammazioni e stress. Sebbene tale recettore si trovi soprattutto nell’epitelio alveolare polmonare, la sua presenza è stata riscontrata anche a livello dei neuroni del sistema nervoso centrale. Una possibile via di accesso del virus al sistema nervoso centrale è rappresentata dalla mucosa olfattoria, essendo l’ACE2 espresso sull’epitelio delle vie aeree superiori e sull’endotelio vascolare. In un articolo pubblicato su Lancet Respiratory Medicine, alcuni autori sostengono che l’espressione di ACE2 possa essere aumentata da alcuni farmaci, incluso l’ibuprofene, antinfiammatorio non steroideo (FANS), e che tale incremento possa facilitare l’infezione da parte di SARS- CoV-2 e favorire lo sviluppo di forme gravi e letali di COVID-19.
La sicurezza dei farmaci antinfiammatori non steroidei nel malato con COVID-19 è stata ufficialmente messa in discussione da una comunicazione del Ministro della salute francese riguardo alle reazioni avverse gravi ascrivibili all’uso di ibuprofene in quattro pazienti affetti da COVID-19. La Food and Drug Administration (FDA) e la European Medicines Agency (EMA) hanno comunicato l’assenza di valide prove scientifiche che possano comprovare una relazione tra i FANS e l’aggravamento della malattia COVID-19. Allo stesso tempo, invitano i pazienti in terapia con FANS per malattie infiammatorie croniche a non interrompere il trattamento, L’EMA, inoltre, ha precisato di prendere in considerazione tutti i FANS e anche il paracetamolo, prima di iniziare una terapia antinfiammatoria o antipiretica, precisando che la maggior parte delle linee guida europee per il trattamento di febbre e dolore propone il paracetamolo come prima scelta. L’OMS, in linea con quanto indicato da FDA e EMA raccomanda l’uso di paracetamolo, in alternativa a ibuprofene, in caso di infezione da SARS-CoV-2.
Tra gli altri farmaci comunemente utilizzati, vi sono ipotesi contrastanti sui possibili effetti avversi o protettivi dei farmaci antipertensivi che agiscono sul sistema renina-angiotensinaaldosterone (RAAS).
Il RAAS gioca un ruolo importante nella patogenesi di diverse patologie cardiovascolari, renali e polmonari. Gli ACE inibitori interferiscono con il RAAS attraverso l’inibizione dell’enzima ACE1, prevenendo la formazione dell’angiotensina II e determinando una riduzione dei suoi effetti vasopressori, sodio-ritentivi e cardiaci. I sartani, antagonisti del recettore per l’angiotensina, competono con l’angiotensina II per il legame al recettore AT1. Entrambe le classi di farmaci hanno come indicazione d’uso l’ipertensione essenziale e l’insufficienza cardiaca.
La comprensione del ruolo fisiologico del RAAS è stata arricchita con la scoperta dell’enzima ACE2, che catalizza la conversione dell’angiotensina 1 in angiotensina 1-9 e dell’angiotensina II in angiotensina 1-7. Come precedentemente indicato, ACE2 è stato identificato come il recettore d’ingresso per il SARSCoV-2 e per questo motivo è sorto il dubbio che farmaci che agiscono sul sistema RAAS possano in qualche modo peggiorare l’infezione. Sono tuttavia troppo poche le prove a supporto di questa tesi.
Alcuni autori, invece, suggeriscono che l’aumento dell’enzima di conversione ACE2 e la deviazione conseguente di angiotensina I verso la formazione di angiotensina 1-9 e 1-7, che esercitano effetti protettivi polmonari e cardiaci, potrebbe proteggere i pazienti dal danno acuto polmonare da SARS-Cov-2. Inoltre, studi in vitro hanno mostrato che SARS-CoV-2, dopo l’ingresso nella cellula per interazione con ACE2, ne determina una sotto espressione. Ciò significa che l’esposizione al virus potrebbe sbilanciare la cascata RAAS verso una maggiore formazione di angiotensina II, aggravando il quadro polmonare e cardiovascolare. In questa circostanza, gli ACE inibitori, o i sartani sono stati proposti come farmaci utili per proteggere dall’eccessivo aumento di angiotensina II.
Le raccomandazioni e le linee guida pubblicate a oggi dalla Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), dall’European Medicines Agency (EMA) e dalla Società Italiana di Farmacologia (SIF) concordano sulla necessità di continuare il trattamento con inibitori del RAAS in pazienti ipertesi affetti da COVID-19, a meno che non siano clinicamente controindicati.
Dott.ssa Cinzia Fattore,
Neurofarmacologo - IRCCS Mondino di Pavia