Cos’è l’epigenetica?

L’epigenetica è la scienza che studia i meccanismi alla base delle modificazioni della struttura della cromatina in grado di influenzare l’espressione del genoma, ossia quanto il DNA viene trascritto in RNA per essere successivamente tradotto in proteina.

Il DNA è avvolto intorno a ottameri di proteine istoniche in una struttura terziaria complessa, detto nucleosoma, unità morfofunzionale della cromatina. Lo stato di impacchettamento della cromatina ne determina la accessibilità da parte del complesso multiproteico della RNA polimerasi, responsabile della trascrizione.

Quando DNA ed istoni sono strettamente impacchettati, il DNA non è accessibile alla RNA polimerasi, mentre una cromatina più “aperta” consente la trascrizione. Un impacchettamento stretto della cromatina, in grado di “silenziare” l’espressione di uno o più geni contigui, deriva da varie modificazioni post-traduzionali del DNA e degli istoni, soprattutto dalla metilazione delle citosine poste all’interno delle cosiddette isole di CpG, cui corrisponde la deacetilazione degli istoni vicini ad opera di una istone-deacetilasi.

Al contrario, la demetilazione delle citosine mantiene gli istoni acetilati, consentendo una struttura cromatinica più spaziosa ed una maggiore trascrizione. Simili modificazioni possono produrre il silenziamento di singoli geni o di un intero cromosoma, come nel caso dell’inattivazione del cromosoma X. Infine, queste modificazioni epigenetiche influenzano il fenotipo in maniera transgenerazionale, pur senza implicare cambiamenti della sequenza del DNA.

 

In cosa si distingue dalla genetica e dalla genomica?

La studio genetico di singoli geni e delle mutazioni all’origine delle malattie mendeliane, oppure lo studio genomico collettivo di tutti i geni che contribuiscono a fenotipi clinici complessi comportandosi come “reti geniche”, richiede la conoscenza della sequenza dei nucleotidi che compongono la doppia elica del DNA.

Attraverso varie metodiche, quali il sequenziamento del genoma, gli array-CGH, il cariotipo e la FISH, si possono identificare modificazioni patogene della sequenza dei nucleotidi, quali mutazioni, inserzioni, espansioni di triplette, varianti del numero di copie (microdelezioni e microduplicazioni) e così via.

Se le mutazioni sono germinali, quindi avvenute nel genoma dell’oocita o dello spermatozoo che ha generato l’individuo, saranno presenti in tutte le cellule del paziente e quindi potranno essere identificate anche isolando il DNA dai leucociti.

Qualora invece si tratti di mutazioni somatiche, avvenute nel genoma di una singola cellula mitotica, queste saranno presenti solo nelle cellule da essa derivate.

L’epigenetica invece è cellulo- e tessuto-specifica, nonché attività-dipendente. Questo rende l’epigenetica molto più vicina alla funzione rispetto alla genomica, ma anche più difficile da studiare sia da un punto di vista metodologico, sia perché necessita di accesso al tessuto specifico malfunzionante.

 

Qual è il legame con l’autismo?

Quando, circa vent’anni fa, l’autismo iniziò ad essere oggetto di interesse privilegiato da parte dei ricercatori nelle neuroscienze cliniche, si riteneva che fosse una patologia esclusivamente di origine genetica e che anomalie in pochi geni avrebbero spiegato la maggioranza dei casi.

Oggi sappiamo che al massimo il 45% dei casi è spiegabile tramite cariotipo, array-CGH a massima sensibilità ed exome-sequencing. La maggior parte dei casi è meglio spiegabile prefigurando interazioni gene x ambiente.

La componente genetica, da un lato, coinvolgerebbe varianti rare a penetranza incompleta oppure, più spesso, varianti comuni “di vulnerabilità”, ossia polimorfismi distribuiti nella popolazione generale, in grado di esercitare minime influenze funzionali di per sé non patogene, ma comunque predisponenti.

Dall’altro, vi sarebbero fattori ambientali molto raramente da soli in grado di causare la patologia (vedi esposizione prenatale a citomegalovirus, virus della rosolia o acido valproico, ad esempio), ma molto più spesso in grado di aumentare il rischio di malattia agendo su un background genetico predisponente (ad esempio, l’esposizione prenatale ad alcuni insetticidi come gli organofosfati, ad inquinanti come gli idrocarburi policiclici aromatici, a farmaci come gli antidepressivi serotoninergici).

Esistono anche evidenze certe di una modulazione della severità del quadro clinico esercitata da autoanticorpi e da fattori immunologici. Negli ultimi anni si sta infine configurando un secondo scenario, piuttosto allarmante, in cui i fattori ambientali non avrebbero agito tanto in epoca prenatale e neonatale precoce sul paziente, quanto piuttosto sui gameti dei genitori.

Infatti, lo studio della metilazione del DNA estratto da spermatozoi di padri di bambini autistici ha evidenziato la presenza di anomalie epigenetiche localizzate a monte di loci importanti per il neurosviluppo. Pertanto, potrebbe essere stata una esposizione antica o recente dei genitori a fattori ambientali dannosi a causare anomalie epigenetiche nei loro gameti, successivamente trasmesse alla progenie attraverso una incompleta demetilazione del DNA al momento della fertilizzazione.

 

Qual è il legame con le cefalee primarie (tensiva, a grappolo, emicrania)?

Per tutte le cefalee primarie vi sono evidenze di un importante contributo genetico. Sebbene esistano varie forme di emicrania, soprattutto con aura, dovute a singole varianti rare sicuramente patogene (si pensi, ad esempio, alle ben note forme monogeniche di emicrania emiplegica familiare), tale contributo consiste però molto più spesso in un insieme parcellizzato di varianti comuni che principalmente modulano l’espressione di geni neuronali, infiammatori, vascolari e ormonali.

Si consideri, inoltre, che gli studi dei gemelli tendono ad assestarsi mediamente intorno ad un 50% di ereditabilità per le diverse forme di cefalea primaria. Questi due dati, insieme alla frequente comorbidità e familiarità per depressione, nonché alla storia di abusi e maltrattamenti infantili significativamente associata al successivo sviluppo di cefalee, indirizzano verso meccanismi epigenetici per spiegare la disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisario, del sistema nervoso vegetativo, del sistema immunitario e della risposta metabolica allo stress, che finisce per coinvolgere il sistema limbico e la nocicezione causando l’avvio e la cronicizzazione della cefalea. Purtroppo, in clinica il contributo epigenetico è difficile da studiare sperimentalmente nelle cellule più direttamente coinvolte nella patogenesi delle cefalee, ossia nel sistema trigeminovascolare. Per adesso, i dati iniziali che si stanno affacciando in Letteratura derivano dallo studio della metilazione del DNA estratto dai leucociti presenti nel sangue periferico.

Questo limite impone molta prudenza nel generalizzare le conclusioni al sistema nervoso.

 

Prof. Antonio M. Persico
Professore di I Fascia in Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza - Università di Messina

Intervista a cura di Roberto Nappi