Cefalea a Grappolo – Dieta chetogenica promettente

I pazienti lo descrivono come "un tizzone infuocato infilato nell'occhio", una "agonia", "un viaggio all'inferno senza controllo". Un dolore "senza paragoni nell’esperienza umana", tanto da portare chi lo prova sull’orlo del suicidio. Responsabile è la cefalea a grappolo una patologia che pur rientrando tra le cefalee primarie non ha niente a che vedere con un comune mal di testa. Le conseguenze sono devastanti in famiglia e sul lavoro, non esistono possibilità di prevenzione e anche i farmaci ad oggi sono pochi e limitati peraltro con gravosi effetti collaterali. Nuove speranze arrivano però dalla dieta chetogenica, una strategia nutrizionale che promette risultati incoraggianti per chi soffre della malattia.

Cluster Headache Day – il 21 Marzo si celebra la giornata europea

"La cefalea a grappolo è una malattia quasi rara, nei Paesi occidentali colpisce circa una persona su mille, prevalentemente gli uomini (il rapporto uomo-donna è di circa 3 a 1) - spiega Paolo Rossi, vicepresidente dell’European Headache Alliance e responsabile Centri per la cura delle cefalee dell’INI-Istituto Neurotraumatologico Italiano, in vista della Giornata europea della cefalea a grappolo, che si celebra il 21 marzo. "E’ caratterizzata da attacchi di dolore unilaterale, intensissimo, nella regione dell’occhio o della tempia, associato ad attivazione del sistema autonomico. E’ senza dubbio il dolore più intenso che possa affliggere l'uomo - osserva - ed un rischio suicidio esiste realmente: in un recente sondaggio il 55% dei pazienti affetti da questa malattia ha riportato ideazione suicidaria".

Le forme episodiche rappresentano il 90% circa dei casi, con manifestazioni raggruppate in particolari periodi dell’anno. Non esiste una categoria a rischio e neanche la causa è sicura: "C’è una associazione con il fumo di sigaretta, il 70% sono forti fumatori, sebbene smettere di fumare non fa guarire - spiega l’esperto - E negli anni sono stati segnalati casi tra turnisti o lavoratori notturni ma non c'è una conferma epidemiologica certa. L’ipotesi più accreditata è che alla base ci sia una disfunzione dell’ipotalamo che, chiamato a fare qualche altra cosa, in relazione alla stagione o all'orario, attiva erroneamente il sistema del dolore generando un’intensa crisi. Il perché non è chiaro ma è probabile che ci sia una componente genetica".

A causa della straordinaria intensità del dolore le conseguenze per chi ne soffre sono drammatiche. "Più di un terzo dei pazienti cronici ha perso il lavoro - spiega Rossi - il 60% dei pazienti riferisce un impatto devastante sulla famiglia, i giorni sono fatti di paura, solitudine e frustrazione". Ma nonostante ciò ad oggi le armi a disposizione sono poche e limitate a vecchi farmaci gravati da pesanti controindicazioni. "Oltre ai farmaci sintomatici, la terapia si fonda su una profilassi, il cui fine è ridurre durante il periodo attivo il numero degli attacchi - racconta l’esperto - C’è molta attesa per i primi farmaci biologici, inibitori del CGRP, ma risultati incoraggianti arrivano da uno studio pilota che abbiamo pubblicato di recente che dimostra l'efficacia della dieta chetogenica in un gruppo di pazienti affetti da cefalea a grappolo cronica. Un regime alimentare da fare sotto stretto controllo medico e non un presidio fai da te".

Cefalea a grappolo - l’accesso alle cure non è uguale in tutta Europa

L’accesso alle cure però non è uguale in tutta Europa. "I dati di un sondaggio europeo, che presenterò in un evento a Parigi il 21 marzo, dimostrano problemi significativi nell’accesso alle cure e alle informazioni sulla malattia, capacità di affrontare le spese sanitarie, adeguatezza delle prestazioni erogate, investimento nella ricerca. Per il 31% dei pazienti europei risulta difficile ottenere l’assistenza sanitaria di cui ha bisogna. L’Italia è tra i Paesi con un’accessibilità non ottimale per le difficoltà legislative di prescrizione. Saranno presentate anche alcune ricerche indipendenti sulla ketamina e i derivati dell'acido lisergico. Non abbiamo dati ufficiali - conclude l’esperto - ma le esperienze riportano una miglioramento significativo in più del 50% dei pazienti, anche in quelli che non hanno risposto ai trattamenti tradizionali".