Le cefalee e le malattie cerebrovascolari sono patologie neurologiche piuttosto comuni ed apparentemente distanti tra loro. Infatti, la prima viene tradizionalmente considerata “una malattia benigna”, priva di sequele a lungo termine, mentre le seconde sono fortemente temute per i possibili severi correlati clinici.

Tutte le cefalee sono pericolose?

Bisogna distinguere tra forme primarie e quelle secondarie, cioè legate ad una precisa causa organica. Naturalmente, quest’ultime possono rivestire carattere di estrema urgenza, ad esempio nell’emorragia subaracnoidea. Esistono degli algoritmi diagnostici che ci aiutano nella fase acuta a distinguere tra forme primarie e secondarie anche mediante un razionale uso delle neuroimmagini.

Il legame con le malattie cerebrovascolari interessa tutti i tipi di cefalea?

Tra le cefalee primarie, l’emicrania è quella più strettamente connessa alla patologia cerebrovascolare. Numerosi studi supportano l’esistenza di un aumentato rischio ischemico nei pazienti emicranici rispetto alla popolazione generale. Tale rischio appare sostanzialmente maggiore nell’emicrania con aura e, nelle giovani donne affette, aumenta ulteriormente quando la malattia si associa ad abitudine tabagica o a terapia estroprogestinica. Un esordio tardivo dell’aura emicranica (dopo i 50 anni di età) ed un’elevata frequenza degli attacchi di cefalea sembrano comportare un maggior rischio cerebrovascolare, mentre non emerge alcuna relazione con la durata di malattia. C’è da dire che seppur aumentato il rischio reale è molto basso.

Quali fattori comuni alle due patologie sono responsabili di questo legame?

La relazione tra cefalea e malattie cerebrovascolari non è ancora completamente nota. I pazienti con ictus ischemico affetti da emicrania presentano una ridotta incidenza dei comuni fattori di rischio vascolare (come ipertensione arteriosa e diabete mellito), suggerendo che meccanismi strettamente legati alla cefalea possano essere implicati nella genesi del danno. L’encefalo del paziente emicranico ha un fabbisogno energetico maggiore rispetto a quello del soggetto non emicranico, a causa della condizione di ipereccitabilità corticale e dello stato proinfiammatorio indotti dalla malattia. L’aumentata eccitabilità corticale, infatti, è presente anche al di fuori degli attacchi ed è responsabile dell’ipersensibilità agli stimoli sensoriali, spesso riferita dai pazienti. Rimane da chiarire se questo substrato possa comportare una maggior suscettibilità nei confronti dello sviluppo di lesioni ischemiche, soprattutto in presenza di altri fattori precipitanti.

Nella pratica clinica, nei pazienti emicranici vengono riscontrate spesso delle “aree gliotiche” alle neuroimmagini che sono causa di notevole preoccupazione ed ansia. Di cosa si tratta? C’è una relazione con l’ischemia cerebrale?

Chi si occupa di emicrania sa bene che una percentuale non trascurabile dei suoi pazienti presenta lesioni cerebrali subcliniche. Queste alterazioni del parenchima cerebrale, spesso scoperte accidentalmente in occasione di esami di neuroimaging e ben più frequenti (fortunatamente!) degli eventi ischemici, hanno una prevalenza più alta negli emicranici rispetto alla popolazione generale. Compaiono piuttosto precocemente in corso di malattia e, nella maggior parte dei casi, non mostrano progressione nel tempo; sono inoltre prive di ripercussioni sulla sfera cognitiva. Tuttavia, i meccanismi responsabili della loro genesi rimangono sconosciuti e numerosi fattori sono stati chiamati in causa, in assenza di dati che confermino la loro natura ischemica. Quando presenti, il medico deve da un lato rassicurare il paziente e dall’altro escludere potenziali cause delle lesioni osservate, come condizioni pro-trombotiche o fonti emboligene. A questo proposito, è utile segnalare che il riscontro della pervietà del forame ovale, malformazione cardiaca che è molto frequente non solo tra gli emicranici ma anche nella popolazione generale, non richiede di per sé alcun intervento correttivo in assenza di un correlato sintomatologico clinico.

Cosa può fare allora il paziente affetto da emicrania per ridurre il suo rischio cerebrovascolare?

In assenza della completa comprensione dei meccanismi fisiopatologici sottostanti, il paziente emicranico potrà beneficiare come tutti di uno stile di vita sano, attraverso la pratica regolare di attività fisica, evitando l’abitudine tabagica e controllando i fattori di rischio vascolari classici (ipertensione, diabete e dislipidemia). E’ interessante segnalare un algoritmo (QRISK-3) che calcola il rischio di eventi cardiovascolari nei successivi 10 anni: il punteggio finale è il risultato, oltre che dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolare, anche della presenza di altre patologie, tra cui l’emicrania. A questo si aggiunge la scelta oculata dei farmaci da utilizzare per la terapia in acuto e per la profilassi dell’emicrania.

Abbiamo parlato della relazione tra emicrania ed ictus ischemico. Esiste un legame tra cefalea ed altre malattie cerebrovascolari?

La cefalea può essere il sintomo d’esordio di malattie vascolari moto gravi, come l’emorragia subaracnoidea dove il sintomo dolore è preminente e spesso riferito come il peggiore mai provato. Per altre patologie, come l’attacco ischemico transitorio (TIA) o l’emorragia intracerebrale, la relazione con l’emicrania è ancora dibattuta ed oggetto di indagine.


Perché definiamo il legame tra cefalea e malattie cerebrovascolari “bidirezionale”?

La cefalea rappresenta la manifestazione principale od iniziale di numerosi eventi vascolari. In presenza di una cefalea di nuova insorgenza o atipica per un dato paziente, devono essere considerate nella diagnosi differenziale alcune rare malattie cerebrovascolari. Oltre all’emorragia subaracnoidea, una trombosi venosa cerebrale può manifestarsi esclusivamente con cefalea, con un dolore olocranico, di lunga durata e non responsivo agli analgesici, o di spiccata intensità, lancinante (cefalea “a rombo di tuono”). In alcune condizioni particolari, è il campanello d’allarme di temibili patologie: così nella donna in gravidanza o durante il puerperio può essere la spia di una sindrome da vasocostrizione cerebrale reversibile (RCVS) o della sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRESS).

Intervista a cura di Roberto Nappi