Diversificare la dieta per migliorare l'emicrania?

Diversificare ciò che si mangia sembra aiuti a gestire meglio la propria emicrania, almeno questo è quello che un recente studio propone.
Ma andiamo a vedere di che si tratta.
Spesso i soggetti affetti da emicrania vorrebbero sapere cosa possano o non possano mangiare: chiedono ai neurologi quali siano gli alimenti vietati e a noi nutrizionisti di fargli seguire una dieta appositamente creata per la loro patologia.
Tali domande, tuttavia, sono destinate a non ricevere una risposta univoca, perché in termini assoluti non esistono né i primi, né la seconda.
Eppure, il legame tra emicrania e alimentazione è molto tenuto in considerazione da parte dei pazienti (altrimenti, una rubrica come questa non esisterebbe…)
In effetti, proprio perché l’emicrania è una malattia molto prevalente e disabilitante (si colloca al secondo posto tra le cause di anni vissuti con disabilità, soprattutto nella fascia d’età lavorativa), stupisce che ad una domanda tanto gettonata non corrisponda un altrettanto elevato livello d’attenzione da parte dei ricercatori.
Per colmare parzialmente questa lacuna ci giunge in soccorso un recentissimo studio pubblicato lo scorso mese di agosto dal professor Arman Arab dell’Università di Isfahan in Iran sulla rivista internazionale Frontiers in Nutrition. Il professor Arab e i suoi colleghi sono partiti da un’ipotesi, cioè che i fattori dietetici e i modelli alimentari potessero influenzare lo scatenamento e le caratteristiche delle crisi di emicrania, interferendo in qualche modo con la fisiopatologia alla base dello scatenamento del mal di testa. La loro ipotesi non è peregrina, basandosi sui tanti dati di letteratura disponibili, sia sui cosiddetti alimenti trigger, sia sugli approcci dietetici proposti per prevenire l’emicrania, come la dieta vegana, quella a basso contenuto di grassi e a basso indice glicemico, la dieta di eliminazione, la dieta chetogenica o la dieta DASH (Dietary Approach to stop Hypertension). Inoltre, è noto che l’ossido nitrico (NO) sia in grado di indurre lo scatenamento dell’attacco emicranico e che proprio gli alimenti sono un principale donatore di ossido nitrico nel nostro organismo. Al fine di confermare le loro teorie, i ricercatori hanno valutato, mediante un questionario validato con 168 domande, se il grado di Diversità Dietetica (DDS sta per Dietary Diversity Score) fosse associabile in 262 soggetti (224 femmine e 34 maschi) esaminati alle caratteristiche cliniche dell’emicrania, tra cui la frequenza, la gravità e la durata, oltre che al punteggio dell’Headache Impact Test-6 (HIT-6) e ai livelli sierici di NO.
Effettivamente, hanno riscontrato un’associazione inversa tra DDS e frequenza degli attacchi emicranici (maggiore è la diversità alimentare, minore è la frequenza degli attacchi). Un’associazione analoga è stata riscontrata anche per i livelli sierici di NO che si riducono a mano a mano che il grado di diversità dietetica aumenta. Invece, non è stata trovata alcuna associazione significativa tra DDS e punteggio HIT-6, durata e gravità dell’emicrania. Quindi, lo studio conferma appunto l’ipotesi dei ricercatori: maggiore è la DDS (parametro anche della buona qualità della dieta), meglio va la cefalea e minori sono i livelli circolanti di NO.
È la prima volta che viene dimostrata la relazione tra DDS ed emicrania, che probabilmente è influenzata da fattori quali il tipo di emicrania, le comorbidità psichiatriche, l’obesità e il livello socioeconomico.
Il consumo di una dieta varia, in particolare di diversi tipi di alimenti vegetali, migliora il profilo microbico, che può migliorare i sintomi dell’emicrania modulando lo stress ossidativo attraverso gli antiossidanti presenti negli alimenti vegetali. Una DDS più elevata riflette il consumo di micronutrienti adeguati da una varietà di alimenti, che può migliorare l’emicrania, ma anche un’assunzione minore di grassi, aventi per giunta una varietà maggiore di sottotipi (meno grassi saturi, più acidi grassi essenziali). Un’assunzione di grassi totali significativamente più bassa e di migliore qualità può concorrere a spiegare il risultato osservato. Si sa che una dieta a basso contenuto di grassi e ricca di grassi polinsaturi è stata in precedenza associata a una riduzione significativa della frequenza, della gravità e della durata della cefalea. Certamente, il disegno di questo studio può prestare il fianco a diverse criticità, e i risultati sono un po’ confondenti (migliora la frequenza delle crisi, ma non gli altri parametri clinici, per cui alla fine l’impatto dell’emicrania (misurato con la HIT-6) non migliora.
Tuttavia, l’articolo solleva un aspetto importante e inedito: è giusto che l’emicranico continui a ricevere forti limitazioni alimentari nel tentativo di escludere potenziali alimenti trigger, spesso costringendolo ad un’alimentazione molto monotona e poco variegata? Forse meglio sarebbe cercare di farlo mangiare meglio, proponendo una dieta più varia, rispettosa della stagionalità e della territorialità, per veder alzare il punteggio del DDS e con esso ridurre la frequenza delle crisi emicraniche.

A cura della Dott.ssa Eleonora Di Pietro,
Biologa nutrizionista - Associazione Eupraxia