La cannella e il mal di testa

Nella lunga disamina sulle varie spezie aventi un potenziale ruolo protettivo sul mal di testa non si può dimenticare di render giustizia ad una pianta il cui utilizzo in cucina è antichissimo e il cui aroma rimanda al clima natalizio, anche se oggi è un po’ caduta in disuso nelle preparazioni domestiche, almeno nel nostro Paese: la cannella. Del suo utilizzo si trova traccia già in antichi papiri egizi, nella Bibbia e in numerosi testi greco-latini. Da noi in Europa, fino all’avvento del cacao dal Nuovo Mondo all’inizio dell’era moderna, era lei alla base delle ricette di molti dolci e bevande calde e corroboranti. La spezia si ricava dalla corteccia della pianta Cinnamonum Verum, o cinnamomo, un sempreverde appartenente alla famiglia delle Lauracee, originario dello Sri Lanka e dell’India meridionale, la cui coltivazione è oggi diffusa in tutta la fasica tropicale. Il suo olio essenziale contiene numerosi principi attivi, tra cui i più importanti sono: aldeide cinnamica (ampiamente usata in ambito medico e nella cosmesi), acido cinnamico, cinnamil acetato, eugenolo, cariofillene (un endocannabinoide), tannini e canfora. La medicina tradizionale ayurvedica ha sempre riconosciuto numerose proprietà a questa pianta, il cui utilizzo è successivamente transitato nella medicina moderna basata sull’evidenza, in numerosi campi d’applicazione. Infatti, diversi studi ne riconoscono l’effetto antiossidante, antinfiammatorio, antiasmatico, antispastico, eupeptico, batteriostatico e protettivo nei confronti della sindrome metabolica (favorisce il controllo pressorio, glicemico e del colesterolo). Al di là di tali effetti, vi sono diversi campi di applicazione esplorati anche in ambito neurologico.

Oltre al potenziale effetto protettivo sulle malattie neurodegenerative più diffuse, come l’Alzheimer e il Parkinson, vi sono evidenze anche per le cefalee, soprattutto per l’emicrania. In particolare, in letteratura scientifica, si trova la segnalazione di uno studio in doppio cieco sull’efficacia della cannella nell’emicrania. La ricerca è ispirata dal forte razionale legato sia alla pratica invalsa dell’utilizzo della cannella contro la cefalea in diversi rimedi folkloristici, sia dall’evidenza che un modico consumo quotidiano di tale spezia sia in grado di ridurre i livelli plasmatici di vari marker e molecole di tipo infiammatorio. Nello studio, sono stati trattati per due mesi due gruppi di pazienti (per un totale complessivo di 50 soggetti emicranici): un gruppo ha ricevuto 1,8 gr die di polvere di cannella, il secondo un placebo. Oltre alla risposta clinica, sono stati indagati anche i marcatori biologici infiammatori. Al termine dello studio, non solo si erano ridotte la frequenza, l’intensità e la durata degli attacchi di cefalea, ma erano calati pure i livelli circolanti di interleuchina 6 e ossido nitrico, due mediatori infiammatori notoriamente coinvolti con la patogenesi dell’emicrania. Al contrario, non calavano i livelli circolanti di CGRP, il peptide infiammatorio correlato al gene della calcitonina, cioè la molecola oggi ritenuta principalmente responsabile dell’innesco della crisi emicranica. Tali risultati hanno indotto gli autori a suggerire la cannella come possibile agente protettivo contro l’emicrania, e con un effetto preventivo, a differenza dello zenzero, la cui azione è invece sintomatica, a causa della rapidità d’inizio e fine dei suoi effetti biologici. Il dato emerso è sicuramente interessante e in contrasto con una credenza abbastanza diffusa per alcuni soggetti emicranici statunitensi (dove la cannella è più consumata che da noi), cioè che questa spezia possa agire come agente facilitante lo scatenamento della crisi di cefalea. Indubbiamente, una risposta soggettiva è possibile, così come non si può escludere che esista una dose oltre la quale si possa avere un effetto negativo. È un fenomeno già affrontato su queste colonne, a esempio parlando del caffè o della cioccolata. Può sembrare strano da noi, in cui l’uso è molto limitato, ma addirittura, in epoca di social network, negli USA è diffuso un pericoloso ‘challenge’ in cui i ragazzi si sfidano ad ingerire un cucchiaio colmo di polvere di cannella nel minor tempo possibile: il Cinnamon challenge, con possibili effetti collaterali. Tuttavia, in un recente studio sui possibili trigger alimentari, la cannella è risultata essere il più debole tra i potenziali fattori di scatenamento presi in esame e in certi casi si tratterebbe d’un vero e proprio effetto nocebo (mi convinco che faccia male, dunque me ne farà).

Ma veniamo all’atto pratico, alle modalità di assunzione della cannella in cucina. Nella nostra cultura questa spezia è molto utilizzata in infusi, nella preparazione della frutta cotta (come le mele), nella preparazione di creme o dolci vari. Tuttavia, può essere anche usata in ricette salate, come zuppe, minestre, frittate, polpette o pasticci; insomma, in tutte le ricette in cui normalmente si usa il pepe o la noce moscata: le proprietà organolettiche sono molto simili, ma il sapore ne guadagnerà in originalità.

Provate e poi fateci sapere.

A cura della Dott.ssa Eleonora Di Pietro,
Biologa nutrizionista - Associazione Eupraxia