Il “caso cefalea” è emblematico quale esempio di correlazione fra alimenti e patologie.
Ne sanno qualcosa i pazienti che adottano spesso una dieta di “evitamento” rischiando di cadere, talvolta, in situazioni di squilibrio e carenza.

Il tema è importante e la relazione fra cefalea ed alimenti è certa. In questo ambito, sono stati avviati molti studi. Spesso, presentano difficolta di comparazione, e soprattutto, sono condotti con differenze geografiche che ne incrementano le diversità ed i possibili fattori confondenti. Si sa ad esempio che le popolazioni rurali hanno una prevalenza minore di emicrania rispetto a quelle di città e sono molte le variabili che caratterizzano le differenti popolazioni, fra cui l’assunzione di cibo. Orientati quindi da questa osservazione, si può partire con una analisi della “tipologia di dieta”, chiamiamola occidentale, contro un modello tipo “km zero”.

Nello studio “Dietary intake patterns and Diet quality in a Nationally representative sample of women with and without severe headache or migraine” condotto da E.Whitney Evans è stato osservato che le donne non emicraniche avevano una dieta più ricca di frutta e verdura, legumi e pochi zuccheri, mentre quelle emicraniche avevano un consumo doppio di sodio.

Traducendo tali osservazioni sulle abitudini quotidiane, si comprende che nell’esposizione alla cefalea un modello mediterraneo è vincente su un modello di dieta junk food, almeno per quanto riguarda il contenuto di sodio.

Infatti, il modello occidentale abbonda oltre che in sodio, usato come insaporitore e come conservante, anche in grassi saturi e zuccheri semplici, spesso nascosti (come in varie salse, tipo il glutammato).

Relativamente ai grassi, l’analisi dei componenti dichiarati in etichetta di un prodotto a produzione industriale comparato con un prodotto di preparazione casalinga, ad esempio una minestra liofilizzata o in scatola, ci documenta che il contenuto di lipidi è rilevante sia nella quantità che nella tipologia di grassi.

Ed è il contenuto di lipidi, in particolare, a poter essere correlato al numero ed alla intensità degli attacchi emicranici, come documentano numerosi studi che confermano l’importanza di una riduzione complessiva delle calorie e dei grassi, privilegiando quelli monoinsaturi, come avviene nei regimi di tipo vegetariano.

Quindi, considerando che i lipidi rappresentano la quota di nutrienti a maggior contenuto calorico (9 kcal al grammo contro le 4 kcal di zuccheri e proteine), nel complesso un modello alimentare in cui abbondano i grassi, soprattutto saturi, si correla con una maggior frequenza di obesità e con una tipologia di consumo alimentare che può facilitare la cefalea cronica.

Nel panorama alimentare, però, va fatta attenzione anche alla tipologia di trattamento a cui il cibo è sottoposto. La cottura prolungata, infatti, provoca una perdita del contenuto vitaminico e minerale, e una variazione nella composizione dei nutrienti, come avviene nel caso di formazione di radicali liberi innescati dal processo ossidativo.

La raccomandazione, quindi, nel paziente cefalalgico è quella di adottare una dieta con molte fonti vitaminiche e di fibre, frutta e verdura possibilmente non molto cotta, e ricca di acqua (per una idratazione corretta), con pochi grassi, solo aggiunti a crudo, come i monoinsaturi dell’olio di oliva, e con proteine in equilibrio fra animali e vegetali, dando largo spazio ai legumi.

Infine, è importante la scelta della tipologia di proteine, privilegiando quelle del pesce che consentono di ridurre l’apporto di grassi saturi, di calorie e quindi indirettamente di contenere l’obesità, una morbilità chenella cefalea è ampiamente documentata.

La qualità e certe tipologie di cibo sono ugualmente importanti: è il caso del cioccolato, alimento su cui si sono particolarmente concentrati numerosi studi che ne documentano una grande variabilità individuale (dallo 0 al 22 % di pazienti lo riconoscono come trigger.)

Ma poiché chi soffre di cefalea spesso ha, nel giorno precedenti la crisi, alterazioni del senso di fame e di desiderio di dolci e cioccolato, l’assunzione di questo alimento avviene in conseguenza dell’alterato campanello ipotalamico del senso di fame e la ricerca del cioccolato diventa più un sintomo dell’incombente attacco di mal di testa, che non una conseguenza.

Recenti studi di nutraceutica individuano poi in alcuni alimenti, con comuni caratteristiche antinfiammatorie come lo zenzero, le mandorle e i semi di lino, un aiuto per chi vuole affrontare il mal di testa iniziando dalla tavola sfruttandone il potere antiossidante.

Un altro alimento sotto accusa e molto studiato è il vino.
L’alcool in genere può essere responsabile di una cefalea ad insorgenza precoce, entro le tre ore, come di una tardiva entro le dodici ore. In particolare, è conosciuta la frequente associazione fra vino bianco e cefalea per la probabile presenza di solfiti, ma è stato valutato anche il contenuto di fenoli nel vino come possibile fattore di interferenza sul metabolismo della serotonina.

Ed infine il caffè, che è utilizzato come farmaco (in aggiunta ad altre componenti farmacologiche), ma può essere collegato alla malattia in caso di un consumo cronico o al contrario con l’insorgenza di una crisi di mal di testa alla sospensione dell’assunzione di caffeina.

Dal punto di vista della quantità di cibo, la cefalea è collegata non solo con l’eccesso, ma anche con la restrizione calorica. Il digiuno dello Yom kippur, quello del primo giorno del ramadan e quello del digiuno preoperatorio sono classiche condizioni in cui si sviluppa una cefalea lieve, che poi passa con l’assunzione di cibo.

Non sempre, però, la modifica calorica rappresenta un fattore negativo perché, esauriti gli zuccheri, l’organismo avvia una via metabolica alternativa che utilizza come fonte energetica i corpi chetonici che si formano a partire dal consumo di grassi. Ed è quello che si verifica nel caso della dieta chetogenica, modello sperimentato di approccio dietetico della cefalea che si arricchisce ogni giorno di evidenze scientifiche. L’uso del programma alimentare chetogenetico nella cefalea raggiunge, infatti, il doppio scopo di ridurre il numero di attacchi e di correggere lo squilibrio calorico che sostiene l’obesità, come patologia concomitante, del cefalalgico.

La diffusione della cefalea e la sua incidenza nella vita delle persone con importanti ripercussioni sul lavoro e la vita di relazione inducono i ricercatori a continuare studi approfonditi per essere di sostegno ai pazienti. Questi ultimi, però, devono essere consapevoli di una propria fragilità di esposizione ai maggiori fattori di rischio conosciuti e a quelli individuali; devono avere conoscenza (anche con l’utilizzo sistematico di un diario alimentare) della propria esposizione ai fattori scatenanti e porre molta attenzione alle scelte alimentari, ricordando che il modello alimentare mediterraneo è quello che nel complesso fornisce maggiori garanzie per le componenti protettive di cui è costituito.

 

Dott.ssa Angela Moneta,
Specialista in Igiene e Scienze della Nutrizione,
Mondino Health Center di Milano